Nella seconda metà del I secolo a.C., in piena età augustea, il santuario subisce una nuova trasformazione: il tempio tardo-repubblicano viene demolito, e sulle sue macerie sorge un nuovo edificio templare, quello tutt’oggi visibile.

Osservando la planimetria dei resti, si intuisce subito che si tratta di un modello totalmente difforme da quello tipico romano. Esso è costituito da un ambiente centrale quadrangolare (la cella), alto circa 8-9 metri, circondato da quattro gallerie più basse: questa forma architettonica, del tutto insolita per il mondo italico, trova invece confronti nei cosiddetti fana gallo-romani o templi di tradizione celtica, attestati nell’area delle province galliche, germaniche e in Britannia.

Presso l’angolo nord-ovest del vano centrale era situata una piccola vasca, con funzioni rituali. Sul lato verso monte la galleria era più stretta delle altre e affiancata da un canale (largo circa 1,60 m) realizzato a contatto con l’alta parete rocciosa che incorniciava scenograficamente l’area sacra. Pavimenti in cementizio rivestivano cella e portici. Le gallerie erano aperte a nord, est e sud con colonnati dorici; parte del lato nord era però chiusa da una muratura rivestita da un paramento in “opera reticolata”.

Per quale motivo il tempio è attribuito a Minerva? Il rinvenimento di una decina di iscrizioni e di alcuni frammenti della statua di culto (una parte della mano sinistra, un frammento di corazza (egida) e un pezzo della cresta dell’elmo) hanno permesso di identificare questa divinità come la titolare del culto di Marano. Un’iscrizione in particolare, ha permesso di attribuire con certezza il rifacimento del tempio di età imperiale ad alcune magistrature veronesi (fanorum curatores), provando così che l’amministrazione del santuario era soggetta alla città di Verona. In epoca tardoantica, anche a seguito dell’avvento del cristianesimo, il tempio viene progressivamente abbandonato e dimenticato. Gli scavi hanno mostrato le modalità con cui avvenne, tra epoca tardo-antica e alto-medioevo, l’abbandono dell’antico santuario. Dopo un incendio che causò il crollo del tetto, l’edificio di culto non fu più restaurato; ridotto a rudere, esso fu via via ricoperto dalla terra e dai massi franati dal monte: proprio tale circostanza ha garantito la conservazione delle vestigia fino a noi.